L’esperto risponde: intervista con Vincenzo Silvestri
È ormai al centro delle cronache e non fa quasi più notizia, la pressione che l’Agenzia delle Entrate sta esercitando sui contribuenti per recuperare i crediti d’imposta utilizzati in compensazione per le attività di R&S regolati dal D.M. 27 Maggio 2015.
In particolare, si tratta di una tipologia di controlli inedita fino a qualche tempo fa ma che oggi sta mettendo a dura prova tutti i contribuenti e non solo quelli che hanno adottato condotte fraudolente per l’occasione.
Vincenzo Silvestri, Executive Manager di Innova Finance, ci spiega meglio di cosa si tratta.
Cosa consiglieresti a un imprenditore che ha utilizzato un credito d’imposta per R&S?
Sicuramente di non preoccuparsi e prepararsi con pazienza ad affrontare la situazione!
Ovviamente non esistono formule precostituite “anti-controllo” e ogni singolo caso necessita di una valutazione di merito approfondita da parte dell’imprenditore, con l’assistenza dei propri consulenti che in questi casi, più di altri, sembrano essere indispensabili.
È doveroso rileggere con spirito critico e alla luce delle più recenti interpretazioni le attività che hanno generato il credito d’imposta per ricerca e sviluppo già utilizzato. Tale rilettura si rende necessaria non solo sotto il profilo fiscale e documentale, ma soprattutto sotto il profilo tecnico, in ragione del richiamo al Manuale di Frascati introdotto con la circolare direttoriale 59990 del 09 febbraio 2018 e assunto come letteratura di riferimento.
Cosa rischiano gli imprenditori?
In uno stato di diritto, come quello in cui siamo, un imprenditore che ha operato nel pieno rispetto delle regole non dovrebbe temere alcunché. Purtroppo non mi sento, da questo punto di vista, di rassicurare pienamente gli imprenditori.
Sul piano della legislazione tributaria il regime sanzionatorio applicato dall’Agenzia delle Entrate è quello previsto per indebito utilizzo in compensazione dei crediti d’imposta “inesistenti”. Rientrano in questa categoria quelli in cui manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile attraverso controlli automatizzati ed è prevista la più gravosa sanzione dal 100% al 200% della misura dei crediti stessi.
Sul fronte penale, il credito inesistente è disciplinato dall’art. 10-quater del D. Lgs. n. 74/2000. La norma sanziona, al secondo comma, con la reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni, chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione crediti inesistenti per un importo annuo superiore a 50.000 euro. Proprio su questo fronte, cioè quello penale, si gioca una partita molto importante rispetto alla situazione contingente.
Il fronte penale sembra essere il grimaldello utilizzato per scardinare le resistenze degli imprenditori che pensano di essere nel giusto e che per ragioni interpretative rischiano di vedersi aprire una posizione che tecnicamente non gli spetterebbe, qualora la contestazione venisse ricondotta più propriamente all’indebito utilizzo di credito “non spettante”.
Ad ogni modo, non c’è da preoccuparsi nel caso in cui non ci sia stata alcuna condotta fraudolenta e il procedimento penale, per quanto sia automatico in caso di compensazioni oltre i 50.000 euro, dovrebbe trasformarsi ben presto in un’archiviazione. Tale deduzione è confermata dall’orientamento del legislatore che con la procedura introdotta dal decreto Fisco-Lavoro (art. 5, commi da 7 a 12, D.L. n. 146/2021) che prevede la possibilità di regolarizzare gli indebiti utilizzi di crediti d’imposta R&S maturati fra il 31 dicembre 2014 e il 31 dicembre 2019, senza irrogazione di sanzioni e interessi, ha introdotto anche l’esimente penale in caso di dimostrazione effettiva dell’attività svolta.
Su quali elementi si basano principalmente i controlli nei confronti dei soggetti che hanno utilizzato crediti d’imposta per ricerca e sviluppo?
Dai controlli fino ad oggi seguiti in prima persona, circa un centinaio, i funzionari preposti controllano non solo l’effettività dell’attività di R&S ma puntano a metterne in discussione anche la spettanza nel merito. È proprio su questo aspetto che si sta giocando la partita più importante anche dal punto di vista della giurisprudenza a noi oggi nota.
Varie commissioni tributarie provinciali, ultime in ordine cronologico quella di Napoli con la sentenza 4988/2022 e quella di Ancona con la sentenza 324/2/2022, hanno condannato la scelta della contestazione di merito da parte dei rappresentanti del Fisco.
Questo perché le ragioni interpretative non possono prescindere dalle competenze di merito da applicare in modo orientato a ciascuna situazione specifica. E, se da un lato il contribuente si presenta con i suoi consulenti e con le esperienze di anni trascorsi sulla materia e sul campo, dall’altro il contestatore affronta la questione senza averne alcuna competenza specifica.
Il disallineamento di competenze porta con sé un carico emotivo da non sottovalutare su quegli imprenditori che vedono giudicarsi da chi competenze non ne ha ma che comunque ha la facoltà di decidere se un’attività rientri o meno nel novero della Ricerca e Sviluppo, determinando così di fatto un eccesso di potere.
Come già indicato è il 2018 il punto di confine tra l’applicazione della norma come tutti l’avevano intesa sulla base della legge vigente e dei chiarimenti fino a quel momento presenti e quanto sta succedendo oggi.
Perché nel febbraio di quell’anno si introduce il Manuale di Frascati come riferimento letterario da seguire per identificare cosa possa essere annoverato come Ricerca e Sviluppo. Quel manuale, però, viene applicato spesso senza cognizione di causa e senza considerane quanto possa essere distante dalla situazione nazionale vigente in termini di ricerca.
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